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Spedizioni Scientifiche Malacologiche
Inventario Malacologico degli Atolli della "Riserva Biosfera di Fakarava" Arcipelago Tuamotu - Polinesia Francese - Oceano Pacifico torna alle cronache Diario di Luca Tringali
Venticinque gennaio duemiladieci
Un tramonto quasi eterno Parto nuovamente per Niau, Riserva della Biosfera UNESCO del comune di Fakarava, arcipelago delle Tuamotu, Polinesia francese. Libero mi ipnotizza con una nuova sorpresa e mi travolge con l’entusiasmo di sempre: verso la fine di dicembre, con la solita noncuranza, mi comunica che il governo polinesiano è caduto, che presumibilmente il finanziamento della seconda annualità di ricerche andrà ridiscusso e forse rimandato, che lui in marzo dovrà essere a Copanello per un’improrogabile visita medica, che tornerà a Niau tra gennaio e febbraio e che avrà bisogno di aiuto. Come al solito non chiede ma, come un novello Socrate, utilizza tutti i trucchi dell’arte maieutica per estrarre, estorcere le risposte giuste, già presenti nella mente dell’interlocutore di turno. Certo che mi piacerebbe tornare, certo che rivedrei volentieri il villaggio di Tupanà e i suoi cocchi spettinati. Certo che ci sarò. Ed eccomi qui, anzi eccoci perché non sono solo, sull’aereo ad affrontare la parte più difficile del viaggio: le 26 ore di immobilità quasi totale e l’incognita del ritiro bagagli. L’altro giovane esploratore è un Claudio sessantacinquenne, l’amico che ha innescato la scintilla tra Libero e me, e con il quale condivido l’equivoco codice del biglietto elettronico: HKAZZO, esclamazione beneaugurale, naturalmente. HKAZZO, di nuovo a Niau! HKAZZO, di nuovo con Libero a chiacchierare! Il viaggio proseguirebbe anonimo, non fosse che non so come e non so perché, d’improvviso, mi si spezzano gli occhiali in modo irreparabile. Hkazzo! (mica tanto beneaugurale, dopotutto). Inseguiamo il sole che tramonta, e voliamo ad una velocità e direzione tali da impedire che scompaia dietro l’orizzonte. Un tramonto infinito che colora di rosso il nulla infinito sotto di noi: le sterminate pianure americane segnate di strade diritte, strade che partono dal nulla, attraversano il nulla, si perdono nel nulla. Strade infinite che, invece, finiscono nell’Oceano tra Los Angeles e Papeete, quando Morfeo ha il sopravvento; infine termina anche il tramonto, sostituito dall’oscurità che cerco di assaporare attimo per attimo, in un riposante silenzio. 26 gennaio Bonjour Papeete! Sono elettrizzato: rieccomi a Tahiti dopo pochi mesi. Papeete è come l’avevo lasciata: sporca, rumorosa, maleodorante, piovosa, fatiscente, misera. E stimolante, un vero casino. Solo un poco più calda e umida, ora siamo in estate. Dopo un’accoglienza calorosa di Addolorata, la padrona della pension, con un Claudio sempre borbottante andiamo alla Direction de l’Environnement per riprendere i contatti con Claude e Mirì. Che dopo aver ricevuto in dono un bijoux creato da Monica, abbandona per qualche secondo lo sguardo duro che la contraddistingue e si scioglie in un tenerissimo sorriso, per poi indossare nuovamente la usuale espressione glaciale. Mi accorgo che lei e Claude devono aver avuto qualche conflitto: il Corso non smette di precisare ad ogni occasione che lei è il capo, è lei che comanda e che decide. Comunque non sono affari miei: appuntamento a giovedì, saluti, e in un attimo trapassiamo dal gelo dell’aria condizionata al caldo umido e soffocante dell’esterno. Claudio, che parla parla borbotta borbotta mugugna mugugna brontola brontola, desidera assolutamente cercare conchiglie terrestri, senza cappello e al sole tropicale delle undici (ora non piove). Ci impegniamo nella donchisciottesca impresa, che in maniera prevedibile termina dopo un paio di ore di sole a picco, una decina di fotografie a qualche molluscucolo, e una quasi insolazione di Claudio, che è costretto a letto tutto il pomeriggio. Esco nel dehors della pensione, mi siedo a un tavolino e ritrovo una delle piacevoli caratteristiche polinesiane: la gioiosa invadenza. Capisco immediatamente che non sarà possibile lavorare: prima mi si accomoda accanto Joseph che mi racconta, con dovizia di particolari che non comprendo, come sia tombé dalle scale, come si sia cassé une epaule, come l’ospedale l’abbia renvoyé à la maison per mancanza di posti letto; poi ci raggiunge Marie Jo, ragazza delle Marchesi, grassa, con gravi problemi a braccio e mano sinistra, incinta, brillante, accanita fumatrice di sigarette che prepara da sola con l’unica mano disponibile. Discutiamo di Gaston Floss, affarista-politicante polinesiano, inquisito per truffa, sospettato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista che indagava sui suoi traffici e scomparso con tutto l’aereo, costretto a dimettersi dalla carica che ricopriva ed in procinto di finire in galera. Poi di Pipapò, commerciante che depreda conchiglie alle Marchesi e strappa denti ai pescecani: bisognerebbe ucciderlo o dargli l’ergastolo urla Marie Jo con uno sguardo di fuoco. Poi mi fa la radiografia: hai les yeux bleu come mio marito. Sorride e si interrompe, mi scruta: sei seul e sei qui per travail. Altra sosta esaminatoria: ti piacciono les femmes. Ride rumorosamente e tace; sei capricorne, non parli beaucoup, stai cambiando vie. Lunga pausa durante la quale continua a fumare a sorridere con la bocca e a trapassarmi con i suoi piccoli occhi intensi; io non annuisco né nego. Poi improvvisamente la sua mano funzionante prende la mia, e ride, ride, ride. Mi propone un rendez-vous con una sua amica a suo dire bellissima e generosa di se stessa ma, questa volta grazie al cielo, è sceso Claudio che la interrompe, mi libera dall’imbarazzo e ci dirigiamo alle roulottes del porto per la cena. Mercoledì e giovedì Claude, Claudio e la radioattività La mattina presto siamo alla Direction; Claudio è sempre irritato perché odia Papeete. Sarà pure caldiccia e umidiccia, povera, caotica e decadente, ripiena di sfaccendati tatuati, disoccupati ingrassati e immigrati dislocati, ma avrà pure qualche lato positivo. Una bella ragazza? Un bel ragazzo? Un profumo? Un sapore? Un’immagine? Un’illusione? Macché, a lui sembra proprio non piacere. Dopo essere tornati in pensione io emigro di nuovo en ville; attraverso una moltitudine di ragazzini che si stupiscono al volo, e al tonfo, degli aquiloni, mi godo la pioggia, e di sera mi ritrovo a scrivere nel bistrot del cameriere mahu che già conoscevo. Giovedì ventotto andiamo a comprare le provviste da spedire a Niau, poi alla Direction dove Mirì ci legge e ci consegna la bozza di convenzione da sottoporre a Libero. Che immagino ne sarà entusiasta: al posto del finanziamento di sei milioni di franchi pacifici, Mirì ne ha stanziati otto, circa sessantamila euro. Anch’io sono entusiasta: mi piace pensare che un poco, un microbo, una particella di merito per l’aumento dei fondi sia anche mio. Claudio propone una collaborazione futura; un progetto di catalogo informatico su tutto il catalogabile dell’intera Polinesia francese. Lei si limita a sorridere ma sembra interessata, on verra, mentre Claude ride, scherza, parla cambiando discorso, e sentenzia che il “cappo maffiossa” è lei e con lei bisogna discutere. Deve essere successo proprio qualcosa tra quei due; poi ci invita ad accomodarci nella sua stanza e ci racconta degli esperimenti atomici a Mururoa e della radioattività residua. È innanzitutto un geologo, e qualche anno fa ha misurato lui stesso i valori della radioattività; dice che “è tutta a posta”, che l’onda d’urto delle esplosioni aeree ha impedito il fall out sulle isole, che le particelle radioattive sono state spinte lontano e che “ci sta più beckerel à Parrigi”. Claudio lo osserva con sospetto, non penso che creda ai suoi dati sulle radiazioni. La discussione poi termina con una spiegazione di come le pecore importate su un’isola delle Marchesi, si stiano pappando tutta la vegetazione. Venerdì, sabato e domenica Finalmente Niau Previsioni: una depressione tropicale in arrivo con fondata ed alta probabilità di ciclone (hkazzo…). Decollerà l’aereo? Volerà l’aereo? Atterrerà l’aereo? Intero? (…hkazzo…). Intanto il tassista di nome Charles e di cognome Lostronzo, che ci ha fatto svegliare alle tre e mezza di notte per venirci a prendere alle quattro, si presenta, dopo mia sollecitazione telefonica delle quattro e venti e dopo un ronfante quanto laconico j’arrive, alle cinque meno dieci (…hkazzo…). Riusciamo comunque a spedire vettovaglie e bagaglio, a partire e, dopo un volo turbolento (…hkazzo…), ad atterrare senza problemi in una rassicurante Niau, accolti dal più smagliante dei rassicuranti sorrisi di Ririfatù (…HKAZZO!). Che ha un altro automezzo: un pick-up color ciclamino. Dal farè della Biosfera ci sorride Libero: Finalmente, eccovi, presto che c’è da lavorare. È felice di vederci, ed è addirittura gongolante (bene bene, sono molto contento) quando scopre dell’aumento del finanziamento. Il sabato trascorre veloce, lavoriamo nel farè al PC e all’analisi del detrito raccolto in estate, e poi facciamo ricerca nella foresta sotto la pioggia per continuare gli studi sul pupu niau e gli altri molluschi terrrestri; infine cena tutti insieme, e Claudio, che non si sente bene, non gradisce né il pesce crudo, né l’acqua del cocco, che per Libero e me è un nettare divino, né tantomeno la polpa. Per lui sarà dura. La domenica è dedicata alla comunità Sanito. Ancora pioggia torrenziale ma grandi feste quando ci riconoscono: canti, musica, risate, e la cerimonia di benvenuto per i nuovi arrivati: il nostro Claudio e Marine, una agronoma di Nizza che tiene a Niau un corso di formazione agricola per quattro giorni; biondastra, trentacinquenne, sembra simpatica ed è stata sfortunata con la meteorologia: fuori continua a piovere in maniera preoccupante. D’un tratto il rappresentante dell’Air Tahiti prende la parola e tiene un appassionato discorso in paumotu, del quale capisco solo l’inconfondibile termine pupu niau: e ora che c’entrano le conchiglie? Cos’hanno in testa? Un poco preoccupato mi avvicino a Louis, il segretario comunale, che mi tranquillizza: il figlio dell’oratore ha vinto le fasi eliminatorie per partecipare ad un concorso per bambini a Papeete durante il quale dovrà glorificare le bellezze di Niau (ogni concorrente dovrà glorificare la propria isola) con una prosa recitata, una poesia cantata, e un ballo. L’idea è quella di abbigliarlo con un manufatto appositamente preparato e costituito dai famigerati pupu niau. Tranquillizzato, smangiucchio per cortesia il dolce fuori programma approntato per festeggiare l’anniversaire della pretessa. Corsa nella pioggia al farè e cena con il patì, il pesce della laguna. Crudo naturalmente, povero Claudio. Lunedì primo febbraio En attendant le cyclon In mattinata ha finalmente smesso di piovere ma c’è ancora molto vento, è impossibile fare ricerca. Libero, alle sette spaccate, viene tutti i giorni a fare colazione da noi: il farè della biosfera è troppo piccolo per tre persone, quindi le chef ci ha affittato una casetta a cento metri di distanza, con due stanze da letto, bagno con scarico a secchio, e una grande cucina-pranzo-soggiorno. È la stessa casa affittata da Lise e Elodie l’anno scorso, con pompa dell’acqua semifunzionante, nel senso che quando l’acqua non si usa allora la pompa va spenta, e quando si usa va accesa. A volte si blocca, l’acqua non arriva in casa e bisogna aspettare una decina di minuti affinché il motore si raffreddi, con buona pace di rasature, docce o altri affari intrapresi e ancora non portati a compimento. Nel farè affittato ci dormiamo in due e ci mangiamo in tre. Siamo seduti nella veranda e ascoltiamo il suono scomposto e scoppiettante del vento che attraversa i cocchi, agita le foglie e ne fa cadere qualcuna. Già la mattina presto l’oceano è irrequieto; un ragazzo mi grida monsieur, tu vas baigner! Annuisco, scatto due foto sulla riva e vengo improvvisamente e completamente bagnato da un’onda. Ero stato avvertito. Torno al farè di Libero dove ho portato un costume per cambiarmi e lo trovo che armeggia con la serratura: per aprirla ci vuole la laurea in portologia. Ridiamo come degli scemi, e mi cambio appena in tempo per la visita del tavanà (sindaco, capo). Non è una visita di cortesia, ci avverte di un comunicato della radio: è atteso il passaggio del ciclone qui vicino e sono previste onde di tre metri. Nessun altro commento, gira le spalle e si dirige ad avvertire qualcun altro. Le onde arrivano, con un fracasso assordante, incessante e preoccupante: qualche ora durante le quali lavoriamo poco e perlopiù rimaniamo imbambolati in veranda a osservare impotenti tronchi di cocco e blocchi di corallo scaraventati su quella che prima era una strada e che poi si trasformerà in pietraia impraticabile; masse d’acqua impressionanti, alcune lambiscono il nostro farè. Pochi ragazzi rimangono a guardare lo spettacolo, ma il villaggio è deserto; anche Ririfatù è preoccupato, allora è grave. Poi, dopo qualche ora, le onde si placano; il ciclone è andato a far danni altrove. La sera posso addirittura uscire senza pericoli e vado alla immarcescibile cabina del telefono che funziona anche durante i cataclismi, poi torno appena in tempo, prima del diluvio. 2/2/2010 Libero racconta Un’altra giornata senza pioggia, e dopo colazione con Claudio andiamo sulla barriera. Oltre a eventuali specie nuove cerchiamo in particolare una conchigliuzza che non è mai stata fotografata viva: Haliotis pulcherrima, di nome e di fatto. Qui ne abbiamo trovate parecchie morte, conosco il posto e tentiamo. Dopo tre ore Claudio torna al farè, mentre je reste encore un paio d’ore. Risultato: viva non l’abbiamo trovata, ma in compenso botta potente come una molla d’acciaio, dolore dolorosissimo, sangue a fiotti: una murenetta, fetente e insignificante, ha assaggiato il mio dito medio. Tutto sommato non devo avere un buon sapore perché mi ha mollato subito (chiamasi culo perché in genere le murene non staccano la presa nemmeno con le cannonate), ma se a Roma qualcuno ha sentito un’imprecazione di cui non conosce l’origine, ebbene ero io che urlavo HKAZZO! Tornato comunque in passabili condizioni fisiche ed ottime di spirito, Libero, alle stelle, mi racconta la novità. Ha parlato col tavanà di Niau e lo ha convinto a diventare Presidente della costituenda AMIPoly, Associazione Malacologica Internazionale sezione Polinesia, di cui dovrebbero far parte oltre a noi tre, il vicesindaco appunto, il Presidente dell’AMI Italia, Ririfatù che offrirebbe la sua casa come residenza legale dell’associazione, e un altro niauese/niauoico/niauiano, non so come dire. Il tutto per ottenere finanziamenti e agevolazioni per la ricerca. Lavoriamo ancora, e poi dopo cena Libero ci inchioda in veranda con uno dei suoi racconti semplici, ma raccontati come devono essere raccontati: dall’inizio alla fine con ironia, pathos, intelligenza, allegria, suspence, semplicità che decisamente non posso replicare. Mi limito ai fatti. Anni fa, nelle Isole Marchesi e precisamente a Fatu Hiva, Libero si avventura sulla scogliera per il gioco usuale: cercar le conchigliette. Programma: raggiungere una certa località (proibita perché sede di spiriti dispettosi, i Tupapao) col favore della bassa marea, approntare un letto di fortuna, fare ricerca, passare la notte in attesa della nuova marea bassa, tornare a casa. Realizzazione: raggiunge la certa località, sistema il campo per la notte, dispone foglie e alghe secche e stende il suo pareo sul materasso improvvisato, ricerca e raccoglie molluschi, torna al campo e trova un maiale scuro, rinselvatichito, con le zanne ricurve, che ha indovinato l’utilizzo del pareo: fungere da letto per la notte. Sassate e l’intruso se ne va, ma sul pareo e sul materasso quel porco ha abbandonato un lago di piscia e un olezzo tale da impedire la permanenza notturna. Che fare? La marea non si è ancora alzata e Libero tenta il ritorno. Dopo poco si spegne la lampada; bene, c’è quella di riserva. Che si esaurisce in un tempo ancora minore. Luce? Luna quando non oscurata dalla scogliera e stelle: praticamente al buio. Riecco il maiale: un’altra sassata, la bestia si scansa ma poco dopo un piede rimane misteriosamente incollato ad un masso liscio, Libero cade, e il suo stinco ne soffre le conseguenze: taglio profondo, dolore atroce e tanto sangue (non come la murenetta…). Raggiunge la strada e l’infermeria: medicazione d’urgenza, ma il taglio ha raggiunto l’osso, è necessario il trasporto in ospedale con l’elicottero, e dovrà aspettare il giorno dopo. Viene trasportato a casa e lì, dopo un consulto, la padrona di casa sentenzia che la medicazione non è sufficiente e che ci vuole la guaritrice. Che arriva prontamente, osserva, esce, ritorna con delle foglie che riduce in poltiglia con un pestello fallomorfo, e poi dispone, eliminata la medicazione ufficiale, sulla ferita scoperta, per poi fasciare il tutto con altre foglie. Mattino, miracolo: ferita già cicatrizzata, infermiera della medicazione notturna annulla incazzata il trasferimento in elicottero visto che non ce n’è bisogno, grandi risate del villaggio che nella sua totalità è giunto a visitare l’infermo e ad ascoltare attentamente il suo racconto. I vecchi poi decretano: la colpa è di Libero che ha offeso il Tupapao. Il maiale nero con le zanne ricurve era evidentemente, manifestamente, inequivocabilmente uno spirito maligno e dispettoso, un Tupapao, e Libero, invadendo il suo dominio e cacciandolo a sassate, lo ha offeso. Il suo stinco, comunque, è perfettamente guarito in pochissimi giorni. Merito del viril pestello? Vado a telefonare. Alcuni amici rispondono, altri no. Sono le ventitre e venti, sto per spegnere la luce e piove di nuovo. Attendiamo un altro ciclone. Buonanotte. Mercoledì tre e giovedì quattro Piova e vento sopportar Pare che arrivi davvero. Tutte le piroghe sono in secca, lontane dalla barriera, e chi può le trasporta dall’altro lato dell’atollo; i viottoli di Tupanà si desertificano in un baleno: nessuno in vista, tutti in casa al sicuro. Più tardi il sindaco si fa aiutare da alcuni ragazzi per mettere “in sicurezza” il tetto in lamiera della sua abitazione: lo legano in modo improponibile e lo assicurano a delle piante di cocco; terminato, passano a fissare con tavole di legno le scassate porte della mairie, e di nuovo tutti via. Manca la corrente, niente luce, niente acqua, niente collegamenti col vini, computer costretto dall’autonomia delle batterie. Il farè dove soggiorna Libero ed il nostro sono in legno, ma sembrano costruiti con criteri anticiclone: dovrebbero resistere. Il problema sono le onde: tonnellate d’acqua che potrebbero abbattersi sull’atollo. Che per fortuna è sollevato di qualche metro sul livello marino, una caratteristica geomorfologica di Niau. Pericolo più concreto è la possibilità che il vento faccia non proprio mollemente adagiare sulle nostre teste qualche noce di cocco. Lavoriamo al detrito illuminandolo con lampade tascabili, e troviamo microconchiglie in grande copia, e chiacchieriamo. Giunge Ririfatù: il vento ha scaraventato noci di cocco non su capocce ma su fili elettrici, danneggiandoli; tra oggi e domani qualcuno provvederà alla riparazione, e d’incanto dopo qualche ora torna la modernità. Non piove, ma il vento è tanto, soffia forte e rumoreggia tutto il giorno, il pomeriggio e la notte. Il vento aumenta, strade sempre più deserte, le fregate cercano di volare controvento senza riuscirci, solo le palme da cocco, sempre più arruffate, sembrano non curarsi particolarmente di questo enorme spostamento d’aria. Ririfatù dice che in caso dovesse servire, lo possiamo appeler anche nel cuore della notte: siamo piuttosto vicini al mare, soprattutto il farè di Libero, e rimaniamo tutti in uno stato di tensione sottesa e costante per ciò che potrebbe accadere. E che per fortuna non accade. Giovedì il ciclone si sposta verso l’arcipelago delle Australi, con venti di 200 chilometri orari ed onde di sei metri; qui è passato ma noi non ce ne accorgiamo: ancora ventissimo, pioggissima, fracassissimo, nessun collegamento vini. E’ una situazione surreale: infuria la bufera, lavoro al computer su un atollo in mezzo al Pacifico solo di nome, ascolto tanghi cantati da Gardel. A Libero qualcuno ha riferito che alla mairie la nuova segretaria vorrebbe imparare a raccogliere conchiglie, e mi chiede di indagare: lui spera che la ragazza sia quella che lo scorso anno chiamavamo La Selvaggia, femmina molto carina, dai lineamenti un po’ duri, con un bel sorriso e sopracciglia all’insù che le conferiscono un’espressione selvatica. Agli ordini! Indagherò, però lui mi preoccupa: ha un sonno innaturale. Dorme spessissimo durante il giorno, per intervalli che vanno da pochi minuti a anche un’ora e più: almeno quattro volte, dopo colazione, prima di pranzo, dopo pranzo, a metà pomeriggio. Dopo cena, tra le venti e le venti e trenta, cade di nuovo in catalessi, torna al farè e si riaddormenta; per poi svegliarsi tre o quattro volte durante la notte. Non mi piace neanche un po’. Venerdì cinque febbraio duemiladieci Il ciclone è andato a far danni altrove E precisamente a Bora Bora e Raiatea, danneggiando i ripetitori: ancora niente vini, solo cabine del telefono che continuano inspiegabilmente a funzionare. Piove a intermittenza e prima di partire per la ricerca sulla barriera corro per non bagnarmi alla mairie per informarmi della segretaria curiosa: brutte notizie, la ragazza, purtroppo, non è La Selvaggia ma una specie di balena a due gambe e due braccia piuttosto arcigna. Appuratolo, ce ne andiamo delusi all’altro capo dell’isola a cercare i tesori di Niau. Libero è proprio fuori fase, esce dalla macchina solo con il costume e quando gli faccio notare che si prenderà un’insolazione mi dice che ha il camicione nello zaino. Per poi scoprire, dopo un quarto d’ora, che invece lo ha lasciato nella voiture (l’auto-mezzo dell’anno scorso) che nel frattempo Ririfatù ha trasportato a poche centinaia di metri di distanza. Consiglio a Libero di raggiungerla non via barriera ma lungo la strada: almeno sarà protetto dai palmier. Accetta il consiglio e si avvia. Dopo circa due ore di ricerca lo ritroviamo in macchina di nuovo addormentato; dovremmo pranzare sul campo, ma ricomincia a diluviare per cui torniamo. Io viaggio comodamente assiepato e bagnato su una panca nel retro scoperto del pick-up. Non pago di tanta pioggia, nel pomeriggio riesco sotto l’acqua a cercare i Melampus, dei molluschetti simpatici (se simpatico si può dire di un mollusco) dei quali si sa poco e niente; addirittura si discute se siano marini, terrestri o d’acqua dolce. Marini decisamente no, e nemmeno d’acqua dolce visto che ne ho raccolto decine di cadaveri nelle pozze occasionali create dalla pioggia incessante. E poi a Niau non esiste acqua dolce permanente superficiale. Dunque sono terrestri, vivono vicino al mare, sotto sassi, tra la prima vegetazione subito dopo la barriera, sembrano notturni ed escono con la pioggia. Come tutte le lumache di questo mondo. I due giorni successivi. L’ubriaco Sveglia alle cinque, e poi colazione, e mentre raggiungo Libero al farè mi sbarra la strada Michel, un coltivatore di copra che mi invita a bere qualcosa, ovviamente cocco, nella sua casettina. Mi fa sedere in veranda, tira giù dal palmier due cocchi da bere, li apre a colpi di machete, e beviamo tutti e due. Mi informo sul raccolto e Michel mi guarda con aria triste: il ciclone e la pioggia hanno ammuffito le noci di cocco, nonostante gli essiccatoi col tetto in lamiera che sviluppano un calore formidabile. La copra stavolta verrà pagata pochino. Poi mi chiede del mio lavoro e delle coquillages, e mentre ci salutiamo noto che ha dei tappi di sughero nei lobi delle orecchie; mi informo e Michel racconta che un tempo nei lobi ci si infilavano le ossa degli alluci degli antenati morti: pare che oggi sia demodée. Libero conferma. Anche Ririfatù conferma, e quando viene interpellato sull’argomento, conferma anche la storia che secoli fa alcuni guerrieri giunti per conquistare l’atollo, sono stati sconfitti, assorbiti ed annullati nelle sabbie mobili, per aver inseguito i niauoti nelle marecages, le “famigerate” paludi di Niau. Poi, visto che siamo in tema di racconti e tradizioni, chiediamo a Ririfatù se esista un dio locale al quale ci si possa rivolgere per prenotare un briciolo di sole. Risposta esilarante, con il suo sorrisetto sardonico: il dio della pioggia esiste, ma questo mese ne marche pas. Ridiamo tutti. Domenica una novità: non il sole, ché ancora piove, ma il mercato delle cinque e mezza: due banchetti con prelibatezze locali che acquisto insieme a Libero. Ci riforniamo di frifrì (ciambelle ovviamente fritte) e dolci di cocco, frattaglie di maiale con riso, manioca e altri tuberi bolliti, mahoà, il mollusco Turbo setosus appena sbollentato e condito con polpa di cocco grattata e fermentata. Dubito che Claudio, ancora dormiente, gradirà altro che i dolciumi. Dopo colazione esco per una passeggiata di ricerca da solo: mezza giornata sulla barriera con vento e pioggia, ma mi diverto da matti lo stesso. Al ritorno un atolliano mi chiede se sono uno scientifique delle coquillages; sorvolo sullo scientifique e confermo, quindi con fare circospetto e appena accusatorio domanda se la raccolta di pupu niau sia interdit. È il solito equivoco di chi sente parlare in modo errato della Riserva. Lo tranquillizzo, le ramassage del pupu niau, è consentito. Sollevato, mi stringe calorosamente la mano e saluta. Ora sono le sei di un pomeriggio domenicale: calma e nessuno in giro. Sono assiepato su due sedie della veranda, semi sdraiato, ad annerire porzioni delle pagine del quadernetto con queste parole che stanotte riporterò fedelmente sul computerino. Ascolto gli ultimi quattro lieder di Strauss, sento il vento leggero che porta miriadi di profumi sui quali prevalgono il delicato aroma del fiore di tiarè e l’odore penetrante e pungente della copra messa ad essiccare, un maiale che ha tagliato la corda passeggia indisturbato, i gechi schioccano (chià chià chià chià chià chià chià, almeno sette veloci ripetizioni del sonoro monosillabo), le foglie di palma frusciano e parlottano nell’aria fresca. La sera vado a telefonare, ma appena digitato il magico numerino della OPT Card un ubriaco si avvicina. Succede tutto in pochi attimi: prima mi osserva, poi biascica degli incomprensibili insiemi di consonanti e vocali, poi mi stringe la mano, poi di nuovo degli inintelligibili agglomerati verbali a voce più alta, poi inizia ad urlare, poi lo invito ad andarsene a fare in culo, poi lui abbranca un angolo della cabina telefonica che è senza vetri e comincia a scuoterla come se la volesse divellere, poi esco e lo stacco di forza dalla cabina, poi urliamo tutti e due, poi si allontana urlando e sempre urlando osserva mentre mi allontano. È notte, e l’ubriaco continua a vagare e ad urlare al vento. Lunedì 8 e martedì 9 La stagione del mango e lo spreco Oltre ai cicloni questa è anche la stagione di questa prelibatezza speciale e superlativa che risponde al nome di mango. L’unico incomodo è quello di sbucciarlo: come sia ci si bagna di succo almeno fino ai gomiti, se non peggio. E ce ne sono di vari tipi: morbidi, duri, più dolci, più aromatici, più sugosi, più grandi, più piccoli, quelli che si mangiano verdi, quelli che si mangiano gialli e quelli che si mangiano arancioni-rossicci. Ririfatù ce ne ha portati una decina del suo albero, anche se i frutti maturi sono stati quasi tutti rovinati dalla pioggia dei giorni passati, insieme a papaya e corossol, un frutto dalla polpa bianca, succosa e acidula. Non ci ammaleremo di avitaminosi. Libero si lamenta col tavanà dell’ubriaco della sera scorsa, ed in pochi minuti eccolo trasportato da una virago cicciona al farè per un confronto. C’est lui? Oui. Quindi tavanà lo ammonisce, se si ripeterà dovrà procedere all’arresto. Ma qui non esistono prigioni, e domando che cosa voglia dire arresto. Semplice, il malcapitato si ammanetta per una notte e un giorno ad un albero di cocco. Ecco. Quindi ricerca in barriera, una passeggiata lunga, dalle nove all’una. Mi faccio accompagnare in voiture da Ririfatù per poi tornare a piedi. La sera sono assonnato, mi stendo al porticciolo per guardare le stelle ma mi addormento una mezzora. Martedì è stato un giorno faticoso e dedito allo spreco: il troppo cibo acquistato da Libero al mercatino domenicale è andato quasi tutto buttato: non ce l’abbiamo fatta a mangiarlo fino alla fine e con rammarico e raccapriccio è stato eliminato. Come è stata eliminata anche tutta la giornata: non saprei dirne il perché in particolare, ma sono troppo stanco per riflettere sulle emozioni vissute e sulle parole scambiate. Immagino sia trascorsa come le altre: sveglia alle sei, lotta con la pompa dell’acqua infunzionante, colazione tutti insieme, ricerca in mare-barriera-terra-detrito, fotografie, pranzo veloce, riposo-lettura-chicacchiere, inserimento dati nel database, preparazione articolo da pubblicare on-line, cena alle diciotto e trenta, altra ricerca o altro lavoro al PC, dormitina sotto le stelle sulla banchina del porticciolignolo, ritorno al farè dove trovo Claudio ancora all’ordinateur a scontornare fotografie per l’articolo. E poi cerco di ripensare per iscritto a quello che è trascorso e che dovrebbe essere dentro di me. Ma oggi non lo trovo, e mi auguro che non sia un giorno perso, sprecato come il cibo del mercato. Mi dispiace, ma al posto delle palpebre ho delle pesanti saracinesche che si chiudono. Ricordo solo Ririfatù che si è mostrato meno generoso del solito: stanotte andrà a caccia di granchi del cocco, gli chiedo, nonostante il sonno, di andare insieme ma inventa delle scuse per non farsi accompagnare. Evidentemente vuole mantenere segreti i suoi segreti luoghi di caccia. Mercoledì dieci febbraio L’Oceano di notte Veniamo svegliati alle cinque e trenta dalla sirena della Mareva Nui in arrivo. L’arrivo del bateau con le vettovaglie è sempre una festa per Tupanà, ed è sempre divertentissimo assistervi. Anzi, oggi che non ho l’obbligo morale di documentare l’avvenimento, incombenza ottemperata l’anno passato, posso assaporare con calma tutto ciò che capita: chi vende, chi compra, chi aiuta, chi curiosa, tutti che, per una volta, vanno di fretta e si agitano, che ridono e scherzano, compresi i marinai che scaricano e caricano merci ininterrottamente. Che avranno da scaricare poi, visto che quando affronto la fila per fare le ordinazioni e pagare al comandante, le uniche cose da acquistare sono, al solito, pommes, oranges, choux et carottes. E tutto ciò acquisto. In mattinata, poi, mentre Libero conferisce con l’institutrice de l’êcòle, Claudio ed io andiamo a caccia di molluschi sotto un sole talmente infuocato da sembrare di camminarci sopra. Claudio, al solito, è sbracciato, in costume e con un picciol cappellin che non gli copre neanche la punta del naso. Dopo poco torna verso casa. Quando anch’io torno al farè, alquanto cotto nonostante l’integrale paludamento testa-piedi, Libero mi comunica che la presentazione su Niau è piaciuta alle maestre e che domani la proietteremo per les enfants. Io protesto, non è adatta per i bambini, si annoieranno. Lui è irremovibile: alle maestre è piaciuta e tanto gli basta, per cui il pomeriggio lo dedico a modificarla almeno eliminando le parti più pallose ed aggiornandola con le ultime fotografie di uccelli e molluschi vivi. Mi siedo in veranda a lavoricchiare e mi distraggono tre piroghe che pirogano contro corrente sul mare semi mosso per pescare qualche tonno. Con queste barcucole costituite da pezzetti di legno assemblati insieme da fibre di cocco, talmente leggere che un uomo ne può da solo trasportarne una senza particolari difficoltà, gli antichi polinesiani hanno attraversato l’Oceano per migliaia di chilometri e hanno colonizzato gli atolli e le isole degli arcipelaghi più lontani. A cena finalmente troviamo una cosa che piace a Claudio senza riserve: il kaveù che Ririfatù ha gelosamente cacciato in gran segreto la sera prima. E poi, come sempre, si alza per sparecchiare ancor prima che noi abbiamo finito la cena. Poi usciamo e mi spiega che quella lassù è Orione, ma che la vediamo al contrario perché abbiamo attraversato l’equatore; poi mi indica una delle Nubi di Magellano; Libero invece ci racconta di una ragazza marocchina con i capelli rossi, e quando gli dico che probabilmente era una berbera, mi sorride un poco meravigliato e mi dice che in barriera ci andrò da solo, lui andrà a dormire. Dopo un’ora mi ritrovo nella notte in mezzo alla barriera: spengo la torcia e per un attimo sono immerso nell’oscurità totale. A mano a mano che i miei occhi si abituano comincio a vedere qualcosa: prima un oceano di stelle, quindi l’Oceano vero illuminato dalla luna, sento la marea che si alza, le onde che sbatacchiano contro il margine del récif. Raggiungo la riva, mi spoglio, ritorno verso il bordo, ma non troppo per non essere travolto dalle onde, riaccendo la lampada per guardarmi intorno e trovare un punto piatto, senza coralli e senza murene o abitanti scomodi, e attuo un’idea matta: mi sdraio in terra e aspetto di essere sommerso dall’acqua. La marea arriva, non è ancora violenta e mi sommerge pian piano, poi si ritira, e di nuovo per almeno cinque minuti che sembrano ore, l’acqua mi seppellisce, mi fa rinascere, mi scuote e mi percuote, ma vengo colpito da un paio di pesci: meglio alzarsi prima che arrivi qualcosa di pericoloso. Giovedì 11 Scuola Giorno della proiezione a scuola, e Libero mi incastra: non si sente benissimo per cui alla proiezione, spiegazione, responsione alle domande dei bambini dovremo pensarci Claudio ed io. Sono impreparato e alquanto terrorizzato, come ci si comporta con due classi di bambini polinesiani? E poi, nonostante le modifiche, penso ancora che la presentazione sia troppo difficile e noiosa per dei massimo novenni o decenni. Aiuto Tiaitau! E la maestra accorre: spiega gli argomenti più difficili e traduce in un francese comprensibile le infinite domande dei bimbi, formulate in un misto di francese sussurrato ed inintelligibile, e di tuonante paumotu, anch’esso inintelligibile. Rispondo come posso, e l’uditorio è rapito soprattutto dalla storia dell’Acathina, mollusco pericolosissimo per la vegetazione, introdotto in Polinesia dall’Africa, e ormai diffusissimo in parecchi arcipelaghi dove pappa tutto il verdurame pappabile, soprattutto mango e papaya; speriamo non arrivi a Niau con qualche carico portato dal bateau. Esame superato, mezzora di proiezione e altrettanto di domande serratissime. Grazie Tiaitau, che si complimenta per il mio francese. La guardo, le sorrido, mademoiselle, vous etez très gentille. Fingo di crederle e me ne vado a far ricerca in apnea, che si rivela più faticosa del previsto a causa della corrente. Esco e Libero è contento: ogni giorno almeno una specie nuova per Niau. Deve essere davvero innamorato di quest’isola: gli ricordiamo che dovrebbe scongelare le conchiglie dell’anno scorso per pulirle, altrimenti non faremo in tempo, ma lui elude; forse vuole una scusa per tornare ancora. La sera mi ritrovo al porticino, mi stendo come sempre, sogno guardando le stelle, e mi addormento per mezzora. Venerdi dodici Bestiario e altri racconti Oggi apnea spettacolare. Ririfatù ci trasporta alla caletta dove tra dicembre e gennaio nidificano le tartarughe; Claudio sulla spiaggia, io in acqua e appuntamento à midi. Mi vesto, muta, coltello, guanti, maschera, pinne, retino e mi tuffo. Fatico per non essere sbattuto sul récif, il mare non è proprio calmissimo, ma capisco subito di trovarmi in un ambiente magico: pesci gialli, rossi, arancioni, verdi, azzurri, viola, blu, neri, argentei, bianchi e neri, a tinta unita, a macchie, a strisce, a puntini, a puntoni, grandi, grandissimi, piccoli, piccolissimi, medi, medissimi, napoleoni e soldati, farfalle e pappagalli, chirurghi e pagliacci, palle e scatole, istrici e scorpioni, aghi, trombette, angeli, bandiere, balestre, foglie, piatti, magri, grassi, lunghi, corti, lenti, veloci, che volano, che strisciano, che gironzolano, solitari, in due, in piccoli gruppi, a centinaia, in fila, sparpagliati, nuvole, reggimenti, processioni, e sembrano non curarsi della mia presenza; anzi, quando sollevo sassi sott’acqua per ramasser les pupu ne accorrono ancor più alla ricerca di qualcosa da sgranocchiare. Scusi, permesso! Ci sono anch’io, vorrei passare. E naturalmente gli onnipresenti requins pinna nera, pas dangereux ma che aggiungono un pizzico di adrenalinicavventuroso che rende tutto ancor più emozionante. Due ore piene di divertimento ed eccitazione pura e continuata. Sono stremato, e dopo pranzo mi accascio soddisfatto sulla sedia per godermi come un bimbo un’altra favola di Libero. Beato te, mi dice, che parli francese (ne è convinto…); io alle medie ho studiato spagnolo. E perché? Da qui in poi spero di non omettere nulla. Perché la famiglia doveva trasferirsi a Cuba. In quel periodo Gianni, un parente da parte materna, con un socio, attuò una truffa negli Stati Uniti. Era il millenovecentocinquanta, e per l’Anno Santo Gianni e compare fondarono una sorta di agenzia di viaggi che organizzava costosi trasporti via mare e soggiorni a Roma per i pellegrini che agognavano partecipare a quell’epica carnevalata. A detta della maggioranza dei malcapitati, però, i battelli erano in realtà poco più di zattere galleggianti, senza le cabine e i servizi promessi, ma con promiscue e dimesse cuccette; l’alloggio a Roma, per contro, era costituito da comode camerate anch’esse alquanto promiscue e vieppiù dimesse. Chi poteva tornò negli USA con mezzi propri, gli altri affrontarono un’altra volta le gioie della spartana comunanza. Ma gli uni e gli altri furono accomunati dall’intentare una causa colossale contro Gianni e socio che, com’era prevedibile, furono condannati a risarcire i danni. I due non si persero d’animo e si rifiutarono semplicemente di restituire il maltolto e di risarcire i danni, con il risultato di ottenere l’interdizione per sette anni a rimettere piede negli Stati Uniti. Ma che importa? Tanto i soldi li avevano fatti. E li investirono a Roma. Prima un negozio, poi due, furono tra i primi a dislocare: la merce veniva assemblata in India a pochi soldi e rivenduta in Italia a qualcosina di più. Che fare del denaro guadagnato? Ci sarebbe un terreno a Cuba da acquistare, ma è necessario che qualcuno vada sul luogo a gestire la faccenda. Candidato è il fratellastro appena maggiorenne di Libero, con passione per donne, automobili e poker, che in seguito sperpererà buona parte del patrimonio di famiglia e terminerà la sua esistenza insieme all’aspirante cognato durante una passeggiata in macchina. Poiché il fratellastro, che comunque era allora in piena attività sperperatoria, venne giudicato non affidabile per gestire gli affari latinoamericani, la scelta cadde sul padre di Libero, geometra in affanno durante quegli anni difficili, che subito si affrettò ad iscrivere il figliolo alla classe di spagnolo affinché imparasse l’idioma parlato in centroamerica, in previsione del trasferimento. Che non si realizzò. Fine della storia. Sono seduto in veranda a scrivere, a godermi il vento, a guardare l’Oceano, due delfini che passano, i ragazzi che giocano sullo scivolo del portolicchio, le fregate che giocano in cielo, la piroga di Ririfatù che gioca sulla corrente, la moglie di Ririfatù che non gioca e aspetta preoccupata sulla riva il rientro del compagno, La Selvaggia che gioca a fare la sirena. Mi alzo, la saluto, mi sorride, si sistema i capelli bagnati, scappa via in bicicletta. Fine della giornata. Sabato e domenica Come si pesca, qui e lì, ora ed allora Mi sveglio molto presto, ancora non sono le cinque. Passeggio e mi ritrovo al porticello. Sta arrivando Ririfatù che ogni mattina scruta l’orizzonte in cerca di bonito. Pescare i tonni sembra una faccenda elementare: una lenza, un amo senza esca, un banco di tonni, si getta la lenza e i pesci abboccano, sembra incredibile ma è proprio così: gli stolti sono attirati dal luccichio. Come molti umani. Il difficile risiede esclusivamente nell’individuarli da terra a chilometri di distanza, osservando gli uccelli. Libero poi mi spiega come pescava in Calabria circa mezzo secolo fa. I pomeriggi d’estate con degli amici si recava in spiaggia, dove in una pentola di terracotta mettevano a cucinare i pesci non venduti e non puliti del giorno prima, coperti d’acqua di mare e spezie raccolte in riva al mare, su un fuoco di legna molto debole. Uscivano in barca a vela e raggiungevano i pescherecci di sarde: quelle che riuscivano a sfuggire alle maglie delle reti altrui non scampavano ai veloci retini di Libero e compagni, che le utilizzavano come esche. Le infilavano in un centinaio di ami appesi ad un paio di chilometri di lenza che veniva calata in mare al largo, molto al largo. Gli intrepidi pescatori, calata la trappola, si sistemavano per la notte; al mattino ritiravano il pescato, soprattutto merluzzi, tornavano a riva in tempo per vendere ai bagnanti la mercanzia. Quindi corsa alla pentola, filtraggio del pesce stracotto, e nel liquido rimasto, allungato con acqua dolce, veniva cotto parte del pesce non venduto, e buon appetito. Il resto sarebbe servito per un altro pomeriggio di pesca. La domenica la passo a cercare microconchiglie: sdraiato supino, con la faccia nella sabbia scruto alla ricerca di minuti tesori. E ne trovo parecchi; l’unico inconveniente è che piove almeno ogni ora. E piove tanto, per cui quando smette la sabbia è bagnatissima. Pazienza. Nel mezzo di una ricerca si avvicina silenziosa La Selvaggia che si sdraia vicino e mi chiede che cavolo stia combinando. Glielo spiego, sotto un diluvio caldo di cui non ci curiamo. Soddisfatta, si alza e raggiunge i suoi amici, ciao. Lunedì 15 Requins La settimana inizia bene: sole e pescecani, a caccia in apnea con Ririfatù dall’altra parte dell’isola. Abbandoniamo la voiture all’ombra di un cocco senza cocchi ed entriamo in acqua: dovremo nuotare costeggiando un promontorio roccioso, seguendo la corrente per poi approdare in una spiaggetta e ritornare a piedi alla macchina. Andiamo, lui pesca e io cerco les pupù. Vedo uno squalo grigio, due, tre, quattro, cinque. Guardo Ririfatù che ha interrotto la pesca. Emerge e mi dice: requins. Grazie tante, me ne sono accorto. Gironzolano intorno, ci superano, meno male. Ritornano. Rigironzolano. Noi non possiamo indietreggiare, troppa corrente, troppo faticoso, né possiamo salire sulla barriera, le onde sono troppo forti ci frantumeremmo sui coralli. Possiamo solo proseguire con calma. Ririfatù è inquieto, controlla i pescecani e controlla me, che sono calmo, eccitato e terrorizzato ad un tempo. Quelli ci seguono, principalmente al di fuori del recif, ma di tanto in tanto uno si avventura in acqua più bassa e ci osserva. Sono combattuto: vorrei che scomparissero e che ci tenessero compagnia ancora un poco. Ma ciò che voglio è totalmente ininfluente, per cui cerco di godermeli confidando nel loro poco appetito. Ririfatù me ne indica uno vicino. Lo vedo, è davvero vicino, nuota sotto di noi, si interpone fra noi e la costa. L’anno scorso avevamo la piroga sulla quale rifugiarci in caso di necessità, ma oggi non c’è niente. Loro e noi, è fantastico, ma quando scompaiono definitivamente siamo tutti e due sollevati. Ci guardiamo, lui sorride e anch’io. Grazie. Racconto tutto a Libero, bene bene sono contento, scherziamo su funerali ed estreme unzioni, e comincia a parlarmi dei preti razza malefica e parassita, perché in passato hanno estorto e cercato di estorcere denaro e terreni alla madre baronessa. La sera torno in barriera. Solo. Non ho molta voglia di fare ricerca, mi allontano quel tanto che serve a darmi l’illusione di essere in un’isola deserta, mi siedo, spengo la torcia, e aspetto che arrivi l’ora giusta per telefonare agli amici. Guardo le stelle, ascolto la marea, sento i profumi e diventano le ventidue; in Italia sono le nove di mattina, posso telefonare. Raggiungo la fedele cabina amica che mi permette di comunicare. Martedì, mercoledì e giovedì Altra pioggia Giorno di pioggia. Ininterrotta. Abbondante. Violenta. Selvaggia. Tutta la mattina e tutto il pomeriggio. Tupanà è deserto e noi rimaniamo nel farè a lavorare: foto, schede, articolo. E ad ascoltare le storie sagge e meravigliose di Libero. Un fratello del padre, da poco defunto, era un accanito antifascista, accanito comunista e accanito mangiapreti. Partigiano di quelli veri, avvocato, dopo la guerra difende i partigiani accusati di vari crimini, compreso l’omicidio. Riesce invariabilmente a farli assolvere: omicidio passionale di un fascista amante della moglie? No, movente politico! Assolto. Strage di una ventina di fascisti inermi, chiusi in una stanza, commessa da un partigiano completamente ubriaco? No, eliminazione di efferati e pericolosi nemici. Assolto! Fascista incriminato di non so quali delitti: non lo difende. Disposto a pagare un onorario astronomico. Non lo difende. Alcuni milioni di Lire (anni ’50). Non lo difende, e basta. Altro zio incriminato per appropriazione indebita: ha “dislocato” i fondi della sua azienda a beneficio della sua amante spagnola. L’impresa fallisce e non paga i debiti (che verranno ripianati dalla famiglia) e fugge con la bella in Spagna, dove partecipa alla Guerra Civile. Dalla parte dei Rossi, come dubitarne. Conosce un poco di inglese e funge da collegamento con britannici e americani. Durante un trasferimento il battello naufraga, tre giorni in mare aperto e viene recuperato da una nave inglese. Non può più tornare in Italia, e si fa condurre in Inghilterra dove trascorrerà il resto della sua esistenza. Lì organizza i primi viaggi di massa a prezzi letteralmente popolari: convince alcune aziende inglesi a trattenere poche Sterline al mese dalla paga degli operai condiscendenti affinché ogni anno abbiano la somma sufficiente per trascorrere le vacanze in Italia. Treni con 300-400 operai britannici ogni agosto attraverseranno la Manica e mezza Europa per giungere nella ridente cittadina balneare di Rimini. Ma ha smesso di piovere, usciamo in veranda ed abbiamo l’impareggiabile fortuna di assistere ad un evento mozzafiato: colori disposti a semicerchio, uno dentro l’altro, che risaltano tra un oceano d’acqua blu intenso e un cielo grigio scuro scuro scuro, generati dalla superficie liquida, si animano e volteggiano in verso l’alto, fino a culminare in un punto ad un’impensabile altezza, per poi rifugiarsi dopo aver percorso chilometri di strada luminosa, al di sotto della distesa blu: un immenso arc en ciel che mi provoca una sensazione talmente intensa da risultare quasi insostenibile. Ci avviamo per cenare. Mi ritrovo ora alle ventidue e quarantacinque solo, a scrivere e ad ascoltare la Suite del Angel di Piazzolla. Mercoledì è giornata di preparativi. Mattina: riesco a trovare altre specie nuove per Niau e a finire l’inserimento dei dati delle ultime ricerche; pomeriggio: imballaggio di scatole e scatoloni, borse e borsoni, ghiacciaie e ghiacciaione: i numerosissimi, voluminosissimi e pesantissimi colli ripieni di attrezzature varie che rimarranno qui sull’isola in attesa del nostro ritorno, presumibilmente tra luglio e ottobre. È sera, cena abbondante a base di kaveù, del quale Ririfatù ha tenuto celati i segreti nascondigli, e passeggiata notturna. Giovedì aiutiamo Libero a finire gli imballaggi e mi getto nell’Oceano per l’ultimo sguardo alla vita prorompente di quei fondali; ora che conosco la struttura del fondo e la direzione delle correnti mi sembra tutto familiare e facile, non come la prima volta l’anno scorso in cui morivo quasi dalla paura. Proprio lì davanti vivono una decina di esemplari di una specie di mollusco molto grande, stanziale, il Turbo marmoratus: li cerco ad uno ad uno, li conto, due mancano all’appello, mi dispiace perché non li potrò salutare. Dopo gli addii minuziosi a coralli, pescetti, requins e anche a quelle stronze delle murene, esco e mi metto in cerca degli amici: Jean Baptiste, Louis, Michel, Tiaitau, un bambino che con la scusa di portare quattro cocci rotti di conchiglie scassate scroccava qualche mela, e tutti quelli che hanno tenuto celato il loro nome. Vado a cercare delle collane e le maman me ne regalano due con un braccialetto. Le vorrei prendere tutte, ne scelgo altre tre, e Tiaitau, fra le risate generali, le indossa per mostrarmele. Baci, tornerai? Peut être, juillet, août ou septembre. Sorrisi, mani che si agitano, si incontrano, si stringono, non si vorrebbero lasciare: sono persone davvero adorabili. Di notte sono di nuovo sdraiato a sognare guardando stelle sconosciute e che forse non esistono già più; Libero mi raggiunge, in silenzio. Poi ci ringraziamo. A domani. Venerdì 19 e sabato 20 Chilinisibinilisitocchinicosì Aeroporto, altri saluti, vecchi e nuovi mentre aspettiamo che arrivi l’aereo. A Papeete andiamo subito a trovare Claude, che ci riceve con la solita allegria. Chiacchieriamo e andiamo a pranzo insieme. Noto una donna molto bella, lui se ne accorge e mi insegna un brindisi corso da utilizzare con le ragazze: chilinisibinilisitocchinicosì (o qualcosa del genere, non potrei giurarci), “che i nostri liquidi si tocchino così”. Ride, dice che il corso è un italiano mal parlato e prefigura un mio prossimo trasferimento più o meno duraturo en la Polynésie française. Poi Claudio va a passeggiare, Libero ha un appuntamento da un notaio per discutere di un terreno che vorrebbe acquistare a Nuku Hiva nelle Marchesi, io gironzolo per negozi e librerie, e poi lo aspetto seduto al Café Retro. Dopo poco mi raggiunge Claudio e in seguito torna Libero: com’è andata? I proprietari sembrano interessati, bene bene, sono contento. Ora possiamo andare da Vincent, Michel e Jean, malacologi locali, che ci leveranno qualche dubbio di classificazione. E invece i dubbi gli li leviamo noi, ed insieme gli insegniamo un metodo semplice ed efficace per ottenere fotografie decenti di microconchiglie. Serata divertente, ma ancora non ho intenzione di andare a dormire: salutiamo, e lasciati Claudio e Libero alla pension, me ne vado gironzolando per la Papeete del venerdì notte. Ormai mi sembra familiare come la barriera di fronte a Tupanà: vago con disinvoltura per strade e luoghi, e mi pare anche di riconoscere alcune persone, che saluto e che ricambiano alquanto meravigliate ma soddisfatte. Riconosco sicuramente mendicanti e puttane, che sono sempre gli stessi: ciao, ci vediamo presto. Mi sveglio con un pensiero inespresso. Devo ancora fare qualcosa, ma che cosa? Pazienza, mi verrà in mente. Usciamo a zonzo tutti e tre per Papeete, fotografie, regali, chiacchiere e risate e ci fermiamo al mercato per l’ultimo cocco. Che ore sono? Le undici e un quarto. HKAZZO! Dovevamo confermare i biglietti del ritorno. Corro alla Tahiti Nui, ma è sabato. Potrebbe essere chiuso. No, è aperto, fino alle undici e trenta. Entro e subito qualcuno si precipita a chiudere le saracinesche, ma ormai sono dentro. Però non ho né passaporto né biglietto. Poco male, il codice del biglietto elettronico è indimenticabile: hkazzo. Bonjour mademoiselle, je voudrais confirmer deux tickets mais j’ai oublié les tickets et le passeport. Mi guarda molto seria, è troppo tardi, mi scruta, tentenna, ticchetta sulla tastiera del PC , tentenna ancora, apre la bocca, la chiude: c’est pas facile, monsieur… Stasera rimarremo a Papeete. Continua a ticchettare, si ferma, riflette: peut-être… c’è ancora una possibilità: vous avez oublié votre nom aussi? Non? Alors c’est pas grave! E si scioglie in un sorriso fantastico, mi ha preso in giro per cinque minuti ed io ci sono caduto come una pera matura. Si parte, hkazzo. Con Libero ci ringraziamo con gli occhi, a presto. Il ritorno In aereo scrivo poco, mangio e dormo molto, almeno fino a Los Angeles. Vivo il viaggio di ritorno in uno stato quasi onirico, e penso alle persone care che tra poco ritroverò. Penso a Libero con gratitudine: già vorrei essere di nuovo con lui sulla barriera a cercar conchiglie, o dietro al PC ad osservarlo mentre “battezza” il materiale raccolto, sempre con perizia e ironia. L’avventura polinesiana quest’anno è stata, se possibile, migliore della precedente: più rilassata e più consapevole. Lo scorso anno viaggiavo con la mente pesante; oggi sono più tranquillo, per le decisioni prese ed in parte attuate, e per la certezza di aver ben lavorato. Ripenso a Niau: è un posto difficile e meraviglioso, fatato e scomodo, faticoso per la ricerca nell’Oceano, per il cibo, per l’acqua, per i trasporti, ma in qualche modo mi ha insegnato, più di quanto già non sapessi, a vivere e ad apprezzare ogni momento come se fosse l’ultimo, come se non dovesse più ripetersi. Mi vengono in mente le voci dei bambini della scuola, così avidi di conoscere più dettagli possibili sulla loro isola; lo sguardo vigile e protettivo di Ririfatù; gli occhi seri e lusinghieri di Mirì; la risata amichevole di Claude; il borbottio rassicurante di Claudio; l’espressione dolce e affaticata di Libero. E ripenso a tutte le donne e gli uomini che in modo del tutto disinteressato mi hanno incoraggiato, aiutato o semplicemente, e senza alcuna ragione, creduto in me. Grazie, ci vediamo presto! > |